giovedì, agosto 30, 2007

Inkulate e fatevi inkulare

Il kula è uno scambio simbolico di doni effettuato nelle isole Trobriand (nell'Oceano Pacifico) tra le popolazioni di queste isole ed è basato su un rapporto di fiducia (in diritto si parlerebbe di intuitus personae).

Secondo Marcel Mauss, il
kula è uno degli esempi chiave della teoria della reciprocità, secondo la quale il dono è generalmente un'istituzione sociale non volontaria ma obbligatoria.
Nel proporre la teoria dei fatti sociali totali, Mauss prende ad esempio il kula come fatto sociale (nella accezione di Emile Durkheim), che determina ed attorno al quale ruota l'intera vita di una società e, di conseguenza, studiando il quale è possibile capire tutto di essa.

Introduco questo argomento per farvi partecipi di alcune ulteriori riflessioni su quella che comunemente viene chiamata
economia del dono e che noi di Movimento Costozero chiamiamo dorosfera.

Avvento del mercato e dello Stato, da una parte, e dominio della morale e della religione, dall'altra, hanno plasmato la nostra società in nome e per conto di due grandi paradigmi: quello dell'obbligo giuridico e quello dell'obbligo morale.

Ecco che lo scambio tra estranei non può che basarsi:
a) su un dare per ricevere / per avere ricevuto (atto giuridico dell'homo oeconomicus; nel secondo caso parliamo, in diritto, di obbligazioni naturali);
b) su un dare per dare (atto morale dell'homo religiosus).

In entrambe le ipotesi il dono perde totalmente quello che J. T. Godbout chiama valore di legame (contrapponendolo al valore di scambio; dono come prestazione di beni o servizi effettuata senza garanzia che venga ricambiata, per creare, mantenere o rigenerare il legame sociale: nella relazione di dono il legame importa più del bene): infatti, nella prima ipotesi il dono si fonda su un vincolo (e dunque non può essere vero dono), mentre nella seconda ipotesi il dono è meramente gratuito, non indotto da quel meccanismo di reciprocità che alimenta la dorosfera (non c'è nulla di meno gratuito del dono, diceva Mauss).

Allora appare del tutto evidente che soltanto nell'homo reciprocus può correttamente esplicarsi il pensiero dorosofico: questi non dirà "dono perché riceverò un dono / dono perché ho ricevuto un dono", né dirà "dono senza nulla pretendere in cambio", ma dirà "dono perché soltanto donando potrò ricevere doni".

L'homo oeconomicus attenderà il dono altrui oppure cercherà di stipulare un contratto che gli assicuri di ricevere quanto ha dato; l'homo religiosus darà passivamente, senza curarsi del sistema di scambio, che, per questo, non potrà svilupparsi.

Se tutti si sentono debitori verso tutti è perché in quel gioco tutti vincono: soltanto nello stato di idebitamento reciproco positivo - dice Alain Caillé, riprendendo la definizione di Godboudt -, l'unico in grado di superare le aporie del razionalismo individualistico messo in luce dal dilemma del prigioniero o dal paradosso del passeggero clandestino (free rider), si spiegano i benefici propri del registro associativo fondato sul dono.

E venendo al mondo telematico: se tutti mettiamo qualcosa in un dove e se questo qualcosa è immateriale (dunque nessuno potrà sottrarlo alla disponibilità di tutti), tutti ne potranno beneficiare.
L'"economia" del dono è questa, l'"istituzione" del dono è questa; e siccome ciò che può essere scambiato attraverso Internet è immateriale, la rete è il non-luogo ideale in cui la dorosfera può espandersi, innanzitutto sotto forma di reciproco arricchimento cognitivo.

martedì, agosto 28, 2007

Wikipedia come BAIDU

Potrebbe trattarsi della più grande violazione di copyright mai subita. Con queste parole Florence Nibart-Devouard, chair del Board of Trustees a Wikimedia Foundation, ha commentato l'uso improprio di contenuti wikipediani da parte del motore di ricerca cinese BAIDU.

Secondo me, invece, il primato non spetta a BAIDU ma, a rigor di logica, alla stessa Wikipedia.
Infatti, la policy di Wikipedia, che adotta la licenza GFDL, prevede che per ogni articolo vengano indicati i 5 maggiori contributori e che questi nomi debbano essere riportati ogni volta che viene utilizzato un articolo.
Diventa però assai difficile rispettare la policy per il semplice fatto che su Wikipedia assai raramente si trovano indicati i nomi dei 5 maggiori contributori (e guardando la cronologia si può essere facilmente depistati in quanto il numero di edit non coincide necessariamente con l'entità del contributo).

Non ne faccio una questione teorica ma pratica, perché questo problema è sorto proprio mentre stavamo rieditando, su Anarchopedia, alcuni articoli tratti da Wikipedia: un admin di Wikipedia (non si trattava fortunatamente di un vandalo) è entrato nel forum per invitarci a indicare i nomi dei 5 maggiori contributori di ogni articolo.
Beh: indicare 5 contributori a caso sarebbe stato facile, ma indicare i 5 maggiori contributori era davvero un'impresa.
Abbiamo risposto che non appena i nomi dei 5 maggiori contributori sarebbero comparsi, come policy vuole, su Wikipedia, li avremmo riportati (dare a Cesare quel che non è di Cesare sarebbe stato ancora peggio).
Ma l'admin non ha replicato (come poteva?) e tutto è finito lì.

Dunque, se Wikipedia è la prima a non rispettare le sue stesse regole, non c'è dubbio che la violazione più grande avviene in seno alla stessa enciclopedia.

giovedì, agosto 23, 2007

Creative Commons: un punto da riscrivere

Da qualche settimana Creative Commons Italia ha pubblicato la nuova bozza della licenza 3.0 affinché, se necessario, possano essere apportate correzioni al testo. Si chiede, tra le altre cose, di segnalare inesattezze concettuali. Come ho avuto modo di dire in lista cc-it, mi pare che le inesattezze siano sempre le stesse (insomma, quelle già segnalate da anni e mai recepite).

In particolare, c'è un punto della licenza che può generare pericolosi equivoci:
il licenziante - dicono, al fine di evitare dubbi (e questo rende il tutto abbastanza paradossale), le tre licenze non commerciali - può riservarsi il diritto di riscuotere compensi... per il tramite di un ente di gestione collettiva (ad es. SIAE).

Ma come può il licenziante riservarsi tale diritto se quest'ultimo può essere esercitato soltanto dagli iscritti alla
SIAE e se gli iscritti alla SIAE, per i motivi che ora vedremo, non possono utilizzare le licenze CC?

L'art. 46 del
Regolamento Generale SIAE dice, chiaramente, che è vietato all'associato, quanto al territorio ed ai diritti per i quali la Società ha competenza in relazione al mandato conferitole, di rilasciare direttamente permessi di utilizzazione, anche se a titolo gratuito (cioè, ad esempio, utilizzare le licenze creative commons).

L'art. 10 reg. cit. precisa che l'iscritto
ha l'obbligo di dichiarare tempestivamente tutte le opere destinate alla pubblica utilizzazione sulle quali abbia o acquisti diritti.

Tuttavia, in base allo stesso art. 10, l'iscritto ha facoltà di limitare il mandato a determinati territori e di escludere uno o più diritti di utilizzazione economica.

Queste (nuove) eccezioni, però, non spostano di una virgola il problema dell'incompatibilità tra licenza CC e mandao SIAE, perché:
a) la licenza CC non prevede la concessione di diritti relativamente a un territorio determinato;
b) il mandato SIAE non può riguardare opere determinate ma riguarda TUTTO il repertorio (destinato alla pubblica utilizzazione) dell'iscritto;
c) anche la licenza CC più restrittiva tratta praticamente tutti i diritti oggetto del mandato SIAE.

Dunque:
a) non è possibile, ad esempio, utilizzare la licenza CC in Piemonte e dare mandato alla SIAE nelle altre regioni;
b) non è possibile licenziare sotto CC alcune opere e dare mandato alla SIAE relativamente a tutte le altre;
c) o si dà mandato a SIAE o si utilizza la licenza CC.

Pertanto, l'iscritto alla SIAE forse oggi può utilizzare licenze open content compatibili con le suddette eccezioni, certamente non può utilizzare le licenze creative commons.

Non può utilizzarle nemmeno sulla base dell'art. 11 reg. cit, il quale prevede che l'associato, chiedendo un permesso a SIAE, ha la facoltà di escludere dal mandato i diritti di riproduzione e comunicazione al pubblico limitatamente alle utilizzazioni su reti telematiche e di telefonia mobile o analoghe forme di fruizione delle opere: infatti, le licenze CC "seguono" l'opera ovunque e in qualsiasi forma essa si presenti, non consentendo di limitare i permessi accordati a media determinati => non è possibile, ad esempio, licenziare sotto CC un'opera scaricabile da Internet e contemporaneamente dare mandato alla SIAE relativamente alla stessa opera distribuita nei negozi.

Cosa accade se l'iscritto utilizza una licenza CC e dunque viola, sulla base dell'art. 46 cit., il regolamento SIAE?

Nel
Regolamento Generale SIAE le sanzioni cui possono andare incontro gli iscritti sono ben specificate (art. 26 e ss.):
all'associato che contravvenga a disposizioni statutarie o regolamentari sono inflitte le sanzioni seguenti, fatta salva ogni altra azione civile o penale: il richiamo, la pena pecuniaria, la radiazione.

Per concludere: se l'iscritto vuole rilasciare direttamente permessi di utilizzazione, deve valersi di un'eccezione che escluda il mandato SIAE.
Questo significa che, quand'anche la licenza CC fosse una licenza compatibile con le suddette eccezioni, il licenziante non potrebbe riscuotere i compensi attraverso SIAE:
la compatibilità, laddove può esistere, esiste sulla base di un'esclusione reciproca tra licenza e mandato, non certo sulla base di una "convivenza" grazie alla quale sia possibile utilizzare una licenza libera e al tempo stesso riscuotere i compensi tramite SIAE (QUESTO E' CIO' CHE DICE LA LICENZA CC: questo è ciò che può generare, nel licenziante, la convinzione di poter utilizzare una licenza CC e al tempo stesso conferire mandato a SIAE; questo è ciò che può esporre l'inconsapevole licenziante-iscritto alle sanzioni di cui abbiamo parlato).

martedì, agosto 21, 2007

Il gioco dell'estate?

Zeus News ha pubblicato un articolo in cui parla della mia scoperta e spiega come ho fatto a trovare gli edit "istituzionali". Speriamo che qualcun'altro scopra qualcosa di interessante/"divertente".

lunedì, agosto 20, 2007

Censure e vandalismi dalle sedi ministeriali

In questi giorni è rimbalzata sul web la notizia dei "ritocchi" alle voci scomode di Wikipedia da parte di CIA e Vaticano. Una frase un po' forte, forse. Ma se l'aggiunta, da parte di qualcuno che digitava dalla sede della CIA, dell'esclamazione "Wahhhhh!" nell'articolo su Mahmoud Ahmadinejad ha fatto tanto scalpore anche in Italia, allora, a maggior ragione, dovrebbe fare scalpore quello che ho scoperto io.
Qualcuno dal Ministero degli Affari Esteri, il 2 agosto, ha tentato di eliminare dall'articolo su Emma Bonino la seguente frase (in grassetto): "In seguito, nel 2001, il parlamento europeo ridusse di 2/3 il finanziamento del fondo contro la droga gestito da Arlacchi, con una decisione legata alla presunta mala gestione del Fondo e alla richiesta di revisione dei meccanismi di funzionamento del Fondo stesso. Da quel momento, la produzione di droga in Afghanistan è cresciuta costantemente".
Un palese tentativo di censura che è dunque partito da una sede ministeriale.
Ma dalle sedi ministeriali non si fa solo censura, utilizzando wikiscanner si può constatare che chi utilizza i computer "istituzionali" (Presidenza del Consiglio dei Ministri* e Presidenza della Repubblica incluse) contribuisce da tempo e copiosamente a Wikipedia... viene però da chiedersi (guardando gli orari riportati nei log): ma questi signori sono dipendenti pubblici che invece di fare il loro lavoro editano articoli sulla patonza* (alla Farnesina si gioca a "Diplomacy"?) oppure chiunque può avere accesso a questi terminali? Entrambe le ipotesi non sono confortanti. Né è confortante sapere che, ad esempio, il 26 gennaio 2006, dal Ministero dell'Interno, qualcuno ha editato la voce "TAV spa" sostituendo "passeggeri e merci" con "passeggeri e merda", o sapere che dal Ministero dell'Istruzione, il 27 aprile 2007, qualcuno ha editato la voce "Gay" inserendovi il nome e il cognome di... un collega di lavoro?
La lista dei vandalismi potrebbe continuare, ma, per carità di Patria, mi fermo qui.
Quello che però vorrei sapere è se la legge Pisanu funziona... sappiamo chi è stato a censurare, chi è stato a vandalizzare, chi è stato a divertirsi anziché lavorare... insomma, chi sono gli autori di quegli edit? Perché se non sapessimo i nomi e i cognomi di queste persone (che sembrano proprio avere operato in totale tranquillità), alla luce di quel testo di legge, non mi resterebbe che arrivare alla paradossale conclusione che i luoghi più sicuri da cui far partire un attacco informatico o trasmettere "pizzini telematici" sono le sedi istituzionali.

giovedì, agosto 02, 2007

LA GPLv3 E' LEGALE IN ITALIA?

Così titola in copertina Linux & C., la rivista nel cui ultimo numero si trova il tanto discusso editoriale di Tassone.

Il tema viene affrontato di un articolo di Monti (intitolato GPLv3: licenza nuova, problemi vecchi) contenuto all'interno del prestigioso mensile (non posso farne una scansione perché il mensile sarà anche "la rivista leader in Italia su Linux e il mondo dell'OpenSource", ma purtroppo è proprietario).

L'articolo di Monti rincara, se possibile, la dose di FUD presente nell'editoriale ed analizza alcuni articoli della GPLv3.
In particolare, Monti sostiene che la GPLv3 stabilisce un meccanismo analogo a quello delle famigerate "licenze a strappo" tanto care all'industria del software proprietario. Secondo Monti la GPLv3 è un contratto per adesione (tipo quelli di banche ed assicurazioni) il che potrebbe privare di valore giuridico almeno alcune parti della nuova licenza.

Monti sostiene che la GPLv3 è un contratto per adesione perché introduce il concetto di "accettazione", in base al quale per ricevere il software l'utente non è obbligato ad accettare la licenza, ma se lo usa, allora la ha accettata. In pratica non c'è negoziazione: o accetti o non accetti.

Quando ho letto questo sono rimasto alquanto perplesso perché (benché abbia piuttosto chiare le problematiche relative ai contratti per adesione) nessuna licenza presuppone negoziazione: o l'accetti o non l'accetti.

Quindi, non avendo capito cosa vuole dire Monti sul punto, non posso commentare.

Ma non è di questo che voglio parlare perché non è questa la parte dell'articolo di Monti che mi ha colpito di più: Monti, afferma che
la GPLv3 non è uno strumento giuridico per regolare determinati rapporti economici, ma un vero e proprio "atto etico" che distingue i buoni dai cattivi.

Siccome il tema della forte componente ideologica della GPLv3 si presenta e si ripresenta (anche nell'editoriale di Tassone) come qualcosa di nefasto, vorrei chiarire un concetto fondamentale del diritto: il diritto poggia sull'etica.
La rilevanza giuridica di una norma è data dalla sua componente etica. E questo è tanto pacifico quanto autoevidente: farsi la barba non è giuridicamente rilevante mentre rubare lo è per una semplice questione etica.
Ma veniamo al diritto privato.
Un'obbligazione (quindi un contratto ma non soltanto un contratto) è un vincolo giuridico volto al soddisfacimento di un interesse (DI QUALSIASI NATURA: SOCIALE, AFFETTIVA, CULTURALE, PSICOLOGICA, ECONOMICA...) attraverso una prestazione (questa sì, sempre e soltanto di natura economica).

Allora, se la GPLv3 è volta a realizzare gli interessi assolutamente legittimi ed assolutamente diffusi di una comunità o quelli di un singolo individuo perché mai non si tratterebbe di uno strumento giuridico ma di un "atto etico"??

Tassone, inoltre, quando tratteggia un immaginifico futuro e dice che la GPLv4 conterrà una clausola che vieterà l'uso del software nei paesi in cui c'è la pena di morte, dimostra di non sapere che le c.d. "licenze etiche" sono sempre state fumo negli occhi per FSF, la cui unica preoccupazione resta la libertà del software.

Ma anche le c.d. licenze etiche sono pur sempre strumenti giuridici perché producono effetti giuridici.

Allora chi è che fa politica? La GPLv3, che, come ogni strumento giuridico degno di chiamarsi tale, tutela interessi legittimi, oppure chi, pur chiamato ad esprimere un parare giuridico, si addentra in constatazioni di natura puramente ideologica?

mercoledì, agosto 01, 2007

Altroconsumo parla di copyzero


Vi accenna qui e poi ne parla nel bimestrale Hi_Test. Mi fa piacere che anche le associazioni dei consumatori incomincino a diffondere la notizia dell'esistenza di questa grande risorsa.